BARBABLU, IN UNA ‘SCATOLA’ IL FESTIVAL SCOPRE L’ARCANO

(Jacopo Brugalossi) - Dentro un parallelepipedo d’acciaio rivestito di teli neri, con un’ottantina di sedie per il pubblico e uno spazio scenografico di 2 metri per 2, va in scena “Barbablu”, dei fratelli Cesare e Daniele Lievi (in concomitanza con il ventesimo anniversario della morte del secondo), realizzato dal Teatro stabile di Brescia.

Lo spettacolo è tratto da un testo lirico, pensato in origine per le marionette, del poeta austriaco Georg Trakl, dall’animo profondamente tormentato, morto per l’infelicità e per l’abuso di droga a soli 27 anni.

La mente allucinata di Trakl rende questo spettacolo intriso di un atmosfera tetra, di un erotismo macabro, di sangue, della presenza inesorabile della morte che aleggia sopra i personaggi. La scenografia non si “concede” quasi mai completamente al pubblico: grazie ad un gioco di pannelli neri che, spostandosi continuamente, coprono alcune zone e ne lasciano scoperte altre, lo spettatore coglie, di volta in volta, una mano, un braccio, un volto dall’espressione straniata.

Una lunga serie di dettagli, come se l’arcano dovesse essere svelato un pezzo alla volta. A completare l’effetto angosciante, le incalzanti musiche di Mahler, Sibelius, Schubert, rotte solo dalle eco delle voci disperate degli attori.

La trama non segue pedissequamente quella della fiaba originale di Charles Parrault, ma il geometrico gioco di paratie mobili sembra aprire delle stanze, l’ultima delle quali custodisce il terribile segreto di Barbablu. Cosa c’è dentro? “Putrefazione e morte” risponde questi, prima di morire egli stesso.

© Riproduzione riservata