I SONETTI DI SHAKESPEARE TOCCANO IL CUORE DEL FESTIVAL. PREMIO MONTBLANC A BOB WLSON (Foto I. Trabalza)

di Elisa Panetto

“Giorni le notti in cui ti vedo in sogno”. E’ il frammento dell’ultimo verso del sonetto n. 43 di Shakespeare con cui si apre “Shakespeares Sonette”, di Robert Wilson e Rufus Wainwright, un inno all'amore. Prodotto dalla Berliner Ensemble è una rappresentazione che esprime, vive, gode e soffre dell’amore, nella sua universalità di tempo, età e sesso. In più, come fece quattro secoli orsono il drammaturgo di Stratford-upon-Avon, Robert Wilson affronta l’amore ed i temi in relazione con esso senza piegarsi al sentimentalismo, attraverso un lavoro complesso che trasforma in una sorta di “poema visivo” una delle rare opere di William Shakespeare che non furono pensate per il teatro. I 25 dei 154 sonetti (formati da tre quartine e un distico per un totale di 14 versi ciascuno) sono stati selezionati da Jutta Ferbers e collocati in un ordine originale dettato da scelte drammaturgiche. Un’enorme sfida dunque, accolta e stravinta dagli autori e dalla propria squadra.

Sul palcoscenico, un "trasparente" a dividere lo spazio scenico. Sulla sinistra, dietro una tenda rettangolare di garza, un piccolo tavolo con una sedia, sulla quale è seduta di schiena una figura con un costume d’epoca: proprio William Shakespeare (Inge Keller, l’ottantasettenne attrice del Deutsches Theater). Con un movimento del braccio destro accende un piccolo lume, con l’altro mescola lo zucchero di una tazza di tè. Il lume ha la funzione di un campanello assordante, e chiama in scena i personaggi dello spettacolo.

Questa è la prima scena (sette per ogni atto) di “Shakespeares Sonette”, che vede comparire tutti assieme i propri personaggi all’inizio – o subito dopo – della rappresentazione: il segretario (Anke Engelsmann), il buffone (Ruth Glöss), i ragazzi (Christina Drechsler e Anna Graenzer), la dama nera (Ursula Höpfner-Tabori), il rivale (Traute Hoess), il giovane poeta (Sylvie Rohrer), il gentiluomo ma anche la dama (Dejan Bu�‡in), Elisabetta I e poi Elisabetta II (Jürgen Holtz), la dama che sarà anche Eva (Christopher Nell), la donna e la dama (Sabin Tambrea), Cupido (Georgios Tsivanoglou) e in seguito l’angelo (Georgette Dee e Winfried Goos).

Volti d’altri tempi, con fisionomie accentuate o create ex novo dal trucco di Ulrike Heinemann, ma soprattutto ruoli espressi “al contrario”, con uomini che interpretano personaggi femminili e donne che interpretano personaggi maschili, in un’ambiguità sessuale costante e incessante che va al di là delle distinzioni di genere e sesso, e che non può non ricordare i tempi in cui a recitare i personaggi femminili del teatro di William Shakespeare c’erano solo uomini. Ma anche quell’amore che investe ogni essere umano, al di là della propria sfera sessuale, che qui sembra volersi nascondere o confondere, perché a prevalere su tutto c’è l’amore.

Un accorgimento che potrebbe dunque essere “d’epoca” ma che si rivela più che mai attuale. I corpi sono in continuo divenire, le parrucche, i cappelli e le scarpe li allungano e li accorciano, i costumi disegnati da Jacques Reynaud li avvolgono, li ritraggono e li caratterizzano. I movimenti sono a volte fluidi, altre ancora scattosi, talvolta impercettibili ma anche platealmente esibiti, a trasformare il sentimento dell’amore in movimenti e gesta.

Forti e decisi sono inoltre i suoni che accompagnano alcuni oggetti e gesti, come quello dello strappare i fogli dei poemi e del bussare ad una porta. Le scenografie sono invece minimaliste, con pochi oggetti ma densi di significato. L’albero, la mela ed il serpente di Adamo ed Eva, i primi ad “assaggiare” l’amore. Fino al relitto di una macchina incastrato nel tronco di un albero spezzato, con due corpi che lentamente si avvinghiano fino a baciarsi: sembrano quasi i manichini di “Ettore e Andromaca” di Giorgio De Chirico, un’espressione metafisica dell’amore. 

L’immagine, il movimento ed il suono caratterizzano dunque la rappresentazione, col ritmo della poesia che si fonde, si confronta e a volte si scontra con le musiche del giovane cantautore canadese Rufus Wainwright, che ha adattato sapientemente il suo stile pop a diversi generi, talvolta strizzando l'occhio al barocco (come nella scena iniziale) o ancora creando contrasti con più dure sonorità (vedi il rock).

Ad eseguirli i musicisti Stefan Rager (direttore musicale e batteria), Hans-Jörn Brandenburg (pianoforte), Domenic Bouffard (chitarra), Andreas Henze (basso) e l’Isang Quartett: Yun Ui Lee (primo violino), Sangha Hwang (secondo violino), Min Kim (viola) e Yeo Hun Yun (violoncello).

Versi d’amore, canzoni d’amore, gesti d’amore, che vivono grazie alla passione e alla esecuzione della Berliner Ensemble. “Spoleto è come una seconda casa. E’ sempre bello tornare qui” ha dichiarato Bob Wilson sul palco del Teatro Nuovo  mentre, tra il primo e il secondo atto, ritirava il Premio Montblanc (la stilografica “Limited Edition Patron of Art Elizabeth I” che, come ha detto Giorgio Ferrara, "servirà a disegnare i prossimi spettacoli”).

Quest’anno la Montblanc ha scelto e premiato Robert Wilson “per il suo impegno e tutela dell’arte e della cultura in tutte le sue forme; per la continua ricerca e sperimentazione in ambito teatrale; per l’abilità di trasformare in forma teatrale opere nate per altri scopi. Wilson veste i panni del moderno mecenate”.

Poi si è tornati ad ascoltare e vedere i 'soetti'. Ed è stato un trionfo. Un applauso che sembrava non dovesse mai aver fine e grida di acclamazione, hanno infatti salutato lo spettacolo. Tutti erano lì ad accogliere l’abbraccio stretto del pubblico anche il giovane cantautore canadese, Wainwright, che, a sorpresa, ha intonato una delle sue celebri canzoni. Fra poco meno di due ore l'ultima rappresentazione, per far battere ancora forte il proprio cuore

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Foto Ivano Trabalza Studio per Tuttoggi.info