APOKALIPSIS: IL FESTIVAL, CHE FU DI MENOTTI, APRE LE PORTE ALL’APOCALISSE DI MONS. RAVASI. CHE STENDE ANCHE GIOVE PLUVIO. DOPO LA TEMPESTA UNO SPETTACOLO FIN TROPPO QUIETO

Qualcuno, a giudicare dai commenti rubati qua e là tra il pubblico dopo lo spettacolo (applauditissimo), avrebbe gradito un pizzico in più di grandiosità. Colpa forse anche del cielo, che solo un'ora prima aveva offerto sullo stesso palco una versione al naturale, piuttosto convincente, dello spettacolo evocato di lì a poco.

Il favore che Melpomene, Tersicore, Talia, ed Euterpe hanno accordato a Giorgio Ferrara deve proprio aver fatto ingelosire il divino Zeus anche conosciuto, nella mitologia latina, come Giove Pluvio. Le muse della tragedia, della danza, della commedia e della lirica sono state quest'anno quanto mai benevole col direttore, si sono rivisti teatri pieni come non accadeva da tempo.

In compenso ieri sera in Piazza Duomo l'attesissimo spettacolo Apokàlypsis, libretto e musica di Marcello Panni, è stato funestato dall'ennesimo temporale. Proprio alle nove di sera, quando tutto era pronto, il cielo si è squarciato rovesciando sul palco quotidiana dose di rancore divino.

Forse sarà stata la potente intercessione di S. E. Monsignor Gianfranco Ravasi, curatore del progetto, autore e lettore di alcune parti di commento, a permettere che la furia degli elementi si placasse di lì a poco e consentisse l’avvio dello spettacolo con un sopportabile ritardo.

Poco male, visto che i posti erano praticamente tutti occupati e alcune improvvise folate di vento, che scompigliavano i fogli del maestro Panni, s'integravano a pennello nell'atmosfera che lo spettacolo mirava a ricreare. La voce impostata e possente di Andrea Giordana, quella eterea e monocorde di Sonia Bergamasco, leggono il testo di Giovanni. L'attore, impegnato da solo nella recitazione per la prima parte, interpreta la parte di racconto più visionaria. La Bergamasco, che fa il suo ingresso vestita di una tunica candida, legge l'evocazione della Sposa che sconfigge Satana e la descrizione della discesa di Gerusalemme Celeste. I 24 anziani e i quattro Esseri Viventi (Leone, Vitello, Angelo, Aquila), disposti nell'affresco biblico in adorazione dell'Agnello, sono impersonati da un coro in cui trovano posto anche molti bambini, le voci bianche dei momenti angelici.

Sullo stesso palco, diretta da Panni, trova posto una banda di strumenti a fiato "come un gigantesco organo a canne", segnala il direttore, in cui s'inseriscono le immancabili trombe.

Nè mancano i rumori naturali, il tuono, la tempesta e le fiamme. Lo scorrere delizioso e rasserenante delle acque nella Città della Speranza è di vero impatto, così come l'evocazione della pioggia crepitante di "grandine e fuoco, mescolati a sangue". Per Panni, ogni effetto è riprodotto "rinunciando a facile soluzione tecnologica, usando semplici e antichi meccanismi teatrali". E in effetti alle spalle di orchestrali e coro, a formare una scarna ma variopinta scenografia, ci sono una macchina del vento, un timpano, un foglio di metallo che viene scosso dall'aria per ricreare la tempesta. A corredare il quadro, un giovane con una grande zampogna e un corno naturale di bue per un'Apocalisse imbandida al pubblico in maniera sobria, frugale, dissonante. Molto poco cinematografica. Mons. Ravasi si è inserito con tatto tra un intermezzo e l'altro dell'oratorio, per segnalare alcuni spunti in grado di far apprezzare meglio quanto si andava a narrare. "E' curioso che il segno del giudizio sia in questo libro, il silenzio. Quando l'uomo raggiunge l'apice del male, Dio gli toglie la musica. Lo spettacolo del Maestro Panni, rappresenta in questo senso una smentita".

Ravasi ha anche sottolineato come "accanto a scene che ritroviamo ancora oggi nelle nostre città, corpi sofferenti e guance rigate di pianto, l'Apocalisse si chiuda con l'ascesa di una Città della Speranza". Accanto alla grande meretrice Babilonia, città dannata che simboleggia "la Roma di allora, scagliata nel mar Mediterraneo dall'angelo sterminatore con gesto michelangiolesco, c'è la discesa di Gerusalemme Celeste. Perchè l'Apocalisse, come aveva capito il regista russo Tarkovsky, è un racconto del nostro destino. E alla fine lascia spuntare un fiore di speranza". E così sia.

(Carlo Ceraso e Martino Villosio)