L'INDIA, OVADIA E TANTI AMICI: PRIMO OMAGGIO A PINA BAUSCH. LA GENERALE DI BAMBOO BLUES VA TUTTA ESAURITA, TRA LACRIME

La cronaca "mondana" di un grande, ultimo, abbraccio collettivo è presto fatta: quella al Teatro Nuovo di Spoleto, ieri sera, era solo la prova generale di Bamboo Blues, lo spettacolo creato nel 2007 dalla coreografa Pina Bausch scomparsa pochi giorni fa. Eppure il teatro era pieno in ogni ordine di posti. All'uscita c'erano persone con gli occhi arrossati, la maggior parte venute appositamente in Umbria da Genova, da Roma e da Milano. C'era anche Moni Ovadia: "L'inizio è stato una cosa dolorosissima" ha detto commentando a TO® l'avvio dello spettacolo. Mentre la ballerina del Tanztheater Wuppertal danzava, gli abiti e il sipario agitati da un vento monsonico, l'attore e compositore di origine ebraica confessa di aver percepito "il senso di una perdita irrimediabile, dell'estinzione di un genio". La suggestione di un appuntamento come quello di ieri, in attesa della Prima di questo pomeriggio, stava proprio in questo: ogni passaggio dello spettacolo, ispirato dall'India (dove la Bausch aveva più volte soggiornato), ha acquisito per il pubblico un doppio significato; di citazione della cultura indiana e insieme di ultimo lascito, testamento di una grande coreografa. Un testamento struggente e tuttavia pieno di colori, di movimenti ribaditi e sensuali, profumati al cardamonio. Pieno anche di momenti comici. "Di humor, dosato e sublime, quello di chi non vuol far ridere a tutti i costi", corregge Ovadia fuori dal teatro. Lui, che l'umorismo sa padroneggiarlo come pochi, sostiene che "quello di Pina Bausch, in altri spettacoli, sapeva essere feroce. Pensiamo per esempio a Kontakthof". Quello spettacolo, del 1978, nel 2004 fu ripreso proprio da Ovadia, modellato su un corpo di ballo di età compresa tra i 58 e i 70 anni. "Se ho iniziato a scrivere e a lavorare per il teatro, è soprattutto grazie agli spettacoli della Bausch. Pochi come lei hanno saputo essere classici e iconoclasti allo stesso tempo". Anche l'attore Sergio Albelli, il partigiano "traditore" nel film di Spike Lee "Miracolo a Sant'Anna", era ieri tra il pubblico: "Non sono un assiduo frequentatore del balletto, anzi direi che ne capisco ben poco. Però ci sono degli spettacoli che hanno la capacità di farmi godere. Stasera ho visto un'indagine raffinata - ha detto Albelli - un racconto dell'India fatto di pochi tratti e danzato con grazia straordinaria". I ballerini, richiamati per tre volte sul palco dagli applausi, non parlano con nessuno. "Li definirei attoniti, traumatizzati". A parlare è Francesco Carbone, fotografo ufficiale della compagnia internazionale dal 1982 che abbraccia Moni Ovadia e racconta: "a pranzo in molti scherzano, si fanno le foto e cercano di non pensare a quello che è accaduto. Poi ce n'è qualcuno che, come me, reagisce più all'italiana, con le lacrime, senza riuscire a controllare il dolore". Si allenano con estremo rigore, in attesa di partecipare, mercoledì, al funerale della coreografa. Sarà in forma privatissima, ammessi solo loro e i familiari, esclusi anche gli amici più stretti. Le esequie sono state fissate l'8, proprio per consentire al corpo di ballo di rientrare da Spoleto. Il ricordo che Carbone ha della Bausch è di una donna dolce, severa con i ballerini "ma fino al punto giusto". Soprattutto "molto umile, come solo i veri grandi sanno essere. Aveva sempre un saluto per tutti". Il frammento di Carbone che più commuove è però la descrizione di un rituale. Pieno di allegra vitalità: "Mi diceva: voglio bere Chianti e mangiare spaghetti alle vongole. E allora si prendeva e si andava a mangiare 'all'italiana', in un ristorante di Wuppertal". Nella valle di lacrime del foyer, poi, è bello anche ascoltare differenti valutazioni sul Bamboo Blues di chi pure ha amato Pina Bausch con la medesima devozione. Gianfranco Capitta, un signore che ha visto 4 volte lo spettacolo, sottolinea "la discrezione con cui viene mostrata l'India, senza ricorrere a stereotipi o alle solite banalità". Per Moni Ovadia, invece, l'affresco della Bausch è "prettamente ironico, è l'indianismo per come lo vediamo noi. E' Bollywood, in sostanza". "E' molto Pina Bausch", sintetizza una donna venuta apposta dalla Liguria, per l'ultimo saluto alla coreografa. L'ultimo saluto di Ovadia, è una carezza iperbolica, che fa sorridere e intanto inumidisce gli occhi: "Sono un ebreo agnostico, ma stasera penso di aver visto la Madonna". (Martino Villosio)