UNA VITA PER DUE MONDI: BIOGRAFIA IN MUSICA A TINTE CHIARE DI GIAN CARLO MENOTTI (foto I.Trabalza)
(Francesco De Augustinis) - Erano in tanti ieri pomeriggio nelle file di poltrone del teatro Nuovo Gian Carlo Menotti, a ricordare la storia umana e artistica dell'uomo che ha fondato il Festival dei due Mondi, osannata nello spettacolo “Una vita per due mondi”. Un excursus nella vita e nella carriera del compositore e fondatore, dalle origini a Cadegliano, ai primi interessamenti per la musica, al primo concerto visto alla Scala di Milano, agli studi e l'entrata in società in America ed Europa, all'arrivo a Spoleto, rappresentato in uno spettacolo che fa da prologo al concerto di stasera in piazza Duomo, culmine delle celebrazioni per l'Anno menottiano.
Chi non conosceva il lato artistico del Maestro Menotti ha sicuramente trovato nella rappresentazione di ieri, ideata e diretta da Silvia Priori e da Roberto Carlos Gerboles, una rassegna assolutamente convincente. Tratti di monologo, con il racconto della vita e degli aneddoti, interpretati dalla stessa Priori, sono stati intervallati dalle più note e apprezzate arie del compositore: da “Amelia al ballo”, la sua prima opera, penasata nelle stanze da letto di una baronessa a Vienna, scritta a 23 anni e rappresentata al Metropolitan di New York quando ne aveva 26, a “Il Console”, che ha sancito la sua consacrazione, alla Santa di Bleeker Street, che ha davvero dato un finale di grande coinvolgimento alla messa in scena. L'intepretazione musicale è stata affidata alla straordinaria voce del soprano lirico Heo Kyung, con l'impeccabile esecuzione dell'Ensemble del conservatorio G. Verdi di Milano, diretto dal Maestro Marco Seco. Da sottolineare anche l'opera dei due videomaker Enrico Ricassi e Gaia Antifora, che hanno saputo creare una scenografia virtuale e suggestiva con le loro proiezioni sullo sfondo cariche di atmosfera.
Decisamente meno convincente il tentativo di far trasparire nel racconto in prosa quello che invece era il lato umano di Menotti. La storia inizia nel casolare del padre, fortunato coltivatore di caffè in Colombia, a Cadigliano, dove Menotti inizia ad interessarsi alla musica, ispirato dalla passione per il piano della madre. Dalle prime composizioni infantili, l'incontro con l'opera alla Scala di Milano, fanno scattare definitivamente la scintilla in nel giovanissimo Menotti, che abbandona gli studi, convincendo la madre a introdurlo tra gli allievi di Toscanini. Questi lo indirizza in America, al Curtis Institute of Music di Filadelfia, dove incontra l'amico e collaboratore di sempre Samuel Barber. Inizia qui il periodo di composizione -è a questi anni che risale l'”Amelia”-, accompagnato da una (solamente intuibile) vita mondana, a Vienna come a New York, dove l'artista si circonda delle maggiori personalità artistiche dell'epoca. La narrazione avanza per aneddoti, dipingendo un ragazzo qualsiasi, acqua e sapone dalla nascita alla morte, che apparentemente ha saputo e voluto credere nei suoi sogni e che per questo è stato baciato più volte dalla fortuna, che ha scovato il suo talento e lo ha reso celebre. La parte del racconto relativa alla nascita del festival diventa ancor meno consistente, resa come la scelta del ragazzo, divenuto ormai celebre artista, di condividere il suo amore per l'arte con gli altri, anche con i più semplici, con i contadini, “risollevando una città morta”. “A Spoleto aveva regalato 50 anni della sua vita... quante composizioni avrebbe potuto realizzare in quei 50 anni?”, si chiede Silvia Priori. Il racconto della vita di Menotti in scena ieri mancava di quella contornatura minima del personaggio principale, assolutamente necessaria a un qualsiasi racconto biografico, e ha forse perso la bella opportunità di far meglio conoscere l'uomo Menotti, in tutte le sue tinte e le sfumature, alla città che lo ha adottato ed eletto a suo simbolo.
Foto: I. Trabalza
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